Impariamo a usare Adobe Photoshop

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  1. BOSS COMMUINTY
     
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    Adobe Photoshop CS3



    Adobe Photoshop CS3Adobe Photoshop è il programma di riferimento per il trattamento delle immagini. In Adobe Photoshop CS3, sono state introdotte numerose novità tra cui la compatibilità con Windows Vista e con Mac OS X per processori Intel. Per le persone interesate agli articoli su questo programma, abbiamo pensato di raccogliere quelli pubblicati fino ad ora e quelli che usciranno in futuro su questa pagina per renderli più facilmente fruibili.



    Spero siano in tanti a collaborare, mi limito ad esporvi le regole per partecipare:

    1) Cerchiamo di avanzare per gradi, evitiamo dunque di creare una lezione senza i dovuti prerequisiti;
    2) Evitiamo i commenti, le richieste e soprattutto niente domande (esiste già una sezione per le domande). Commenti, richieste, e suggerimenti saranno postati all'esterno di questa sezione;


    Pixel, risoluzione e formati

    IL Pixel

    Un'immagine su un PC è composta da un numero di quadratini, chiamati pixel. (abbreviazione di picture element). Solitamente i punti sono così piccoli e numerosi da non essere distinguibili ad occhio nudo, apparendo fusi in un'unica immagine quando vengono stampati su carta o visualizzati su un monitor. Ciascun pixel, che rappresenta il più piccolo elemento autonomo dell'immagine, è caratterizzato dalla propria posizione e da valori quali colore e intensità, variabili in funzione del sistema di rappresentazione adottato. Il megapixel (1.000.000 di pixel), viene solitamente usato con riferimento alle macchine fotografiche digitali.

    Alcuni pixel:

    image

    Risoluzione


    La risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine. Generalmente si usa questo termine riguardo alle immagini digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione. La risoluzione, quindi, essendo una misura della densità dei pixel, si misura in punti per unità di lunghezza, di solito pollici (dpi, dot per inch = punti per pollice). Per alcuni dispositivi, la densità dei pixel è diversa nelle due dimensioni, come per gli scansionatori d'immagine, quindi occorre indicare sia la risoluzione orizzontale che quella verticale. Uno schermo per computer ha valori di risoluzione intorno ai 72 dpi. Le attuali stampanti casalinghe permettono di stampare immagini con risoluzioni di alcune centinaia di dpi.

    La risoluzione può essere indicata in due modi principalmente:
    - con una moltiplicazione: il primo fattore indica quanti pixel ci sono in larghezza, il secondo in altezza. Alcuni esempi: 32x32 (semplice icona di Windows), 1024x768, 1280x1024, ecc.
    - con un numero: è il caso delle fotocamere digitali, indicato generalmente in megapixel. Questo numero è il prodotto delle dimensioni massime ottenibili con quella fotocamera in megapixel. Ad esempio, una fotocamera da 1.3 megapixel può ottenere al massimo foto da 1280x960 pixel. Questo perchè 1280x960=1228800 pixel = circa 1.3 megapixel.

    Formati immagine

    In Photoshop avremo bisogno di sapere quali sono i formati di base. Un formato è il tipo di file in cui viene trasformata un'immagine finita.

    Eccone alcuni:

    Photoshop (file creato: esempio.psd o esempio.pdd): è il formato nativo di Photoshop. Permette di aprire e creare files usando diversi formati grafici, di creare immagini trasparenti, di salvare livelli e maschere all'interno del file. Conviene sempre salvare il file sul quale si sta lavorando in questo formato, anche se ciò richiede un maggiore spazio sul disco, non fa perdere neanche un pixel del lavoro fatto. Non è utilizzabile su internet o in qualunque altro programma se non Photoshop;

    Bitmap (file creato: esempio.bmp) è il formato standard di Windows. Permette di salvare sia immagini con 256 colori sia immagini con milioni di colori ma non supporta i livelli, le maschere e tanto altro. Il suo maggiore difetto è di essere pesantissimo, il doppio o il triplo di un jpg (vedi più avanti);

    Gif (file creato: esempio.gif) è il formato ideale per il web. Questo perchè permette di creare immagini animate e trasparenti. Dispone, inoltre, di un'ottima compressione dei dati. Ricordo, però, che permette di salvare immagini con massimo 256 colori: per questo è sconsigliabile su immagini ricche di sfumature o di notevole dimensione;

    Jpeg (file creato: esempio.jpg) è un formato ampiamente utilizzato su internet. E' una ottima soluzione per le immagini ricche di sfumature. Non supporta i livelli, le maschere, ecc. ma è un ottimo formato se sapientemente utilizzato. Le immagini salvate in questo formato hanno milioni di colori. E' l'unico consigliabile tra quelli che operano una compressione in perdita per ridurre le dimensioni di un file. Non supporta animazioni e trasparenze;

    Tiff (file creato: esempio.tif) supporta immagini a milioni di colori e anche a 256 colori. Può essere scambiato tra sistemi Macintosh e Windows e può contenere un canale alfa;

    Png-8 (file creato: esempio.png) Praticamente uguale al gif, ma meno versatile;

    Png-24 (file creato: esempio.png) Supporta le trasparenze (grazie ad un canale alfa) e ha 16 milioni di colori. Potrebbe avere una forte rivalutazione nei prossimi tempi dato che finalmente Internet explorer si è deciso a supportare le sua trasparenze. Molto versatile, occupa pochissimo spazio se utilizzato per salvare immagini con forme geometriche.

    L eason 2

    Tratto dal libro: Photoshop Guida all'uso


    In questo articolo ci occuperemo di un argomento molto importante per lavorare con Photoshop CS3, ma anche con le versioni precedenti o successive. Stiamo parlando della risoluzione e della profondità colore. Prima di creare o modificare una qualsiasi immagine è importante saperne gestire le dimensioni nella maniera più opportuna e, di conseguenza, impostare adeguatamente la risoluzione per l’output.

     

    La relazione tra dimensioni e risoluzione


    La corretta relazione tra dimensioni e risoluzione può influire pesantemente sulla riuscita o l’insuccesso di un lavoro al momento dell’output, quello che cioè concretizza su una stampa o a video il frutto del vostro lavoro. Da un altro punto di vista le dimensioni giuste sono importanti anche se si sta semplicemente provando qualche effetto speciale, per il solo gusto di sperimentare. Sovente mi capita di vedere studenti che vorrebbero vedere rapidamente il risultato dell’applicazione di qualche filtro, ma che a causa di documenti dalle dimensioni spropositate perdono letteralmente ore nell’attesa, a volte anche con risultati diversi da ciò che si aspettavano, proprio per le dimensioni eccessive.


    La logica raster e la visualizzazione


    Ogni immagine digitale aperta in Photoshop (quanto segue vale, comunque, per qualsiasi cosa venga rappresentata su un display o un monitor) è composta da pixel, da poche centinaia fino a svariati milioni. Più si procede con l’ingrandimento di un’immagine, più diventano visibili questi elementi (pixel = picture element, ossia il più piccolo elemento costituente un’immagine digitale) e lo zoom massimo consentito in Photoshop, 6400%, è molto di più di quanto realmente serva nella quotidianità (i latini, profondi utilizzatori di Photoshop, dicevano melius abundare quam deficere, ovvero “meglio abbondare che scarseggiare”, ma questa logica nella grafica digitale non è sempre valida, anzi, per questo motivo la lingua latina non ha trovato molta diffusione tra i grafici…).




    Figura 1: Un esempio di immagine digitale ingrandita per visualizzare i suoi elementi costitutivi


    Fintanto che si opera su un display o un monitor l’unica unità di misura con cui è importante relazionarsi è proprio il pixel. Infatti, se pensate alle fotocamere digitali una delle informazioni circa la bontà del sensore di acquisizione è il numero di pixel che è in grado di catturare (per esempio 10 Megapixel, ossia 10 milioni di pixel). Il video, a sua volta composto da pixel, mostra le immagini mettendo in relazione il pixel della foto con il pixel dello schermo, e a seconda di questa relazione ciò che vedremo a video sarà una rappresentazione più o meno fedele dell’immagine di partenza. La condizione di visibilità ottimale è quella denominata a pixel reali, a indicare che ogni pixel della foto è rappresentato esattamente da un corrispondente pixel sullo schermo, ed è ciò che si verifica con uno zoom del 100%.




    Figura 2: La modalità di visualizzazione al 100% di zoom è detta "a pixel reali" ed è l’unica che permette una corrispondenza biunivoca tra l’immagine e lo schermo


    Quando invece si usano fattori di zoom diversi dal 100% si incorre in quella che viene definita interpolazione video, cioè si cerca di trovare un compromesso tra le dimensioni dei pixel, per esempio del monitor, le cui dimensioni fisiche sono fisse, non cambiano da un momento all’altro, e le dimensioni dei pixel dell’immagine, che possono variare a seconda dell’ingrandimento o della riduzione.

    Questo è perfettamente logico dal momento che il pixel è un’unità di misura adimensionale, ossia senza una dimensione precisa, ma questa affermazione presa da sola sicuramente non vi sarà molto d’aiuto. Fate una prova: aprite una qualsiasi immagine, selezionando dal menu File l'opzione Apri (Open), e osservate qual è il valore percentuale che appare nella barra del titolo. Se è composta da pochi pixel, anche su un monitor da 15” un po’ datato è molto probabile che quel numero sia 100%.

    Al contrario, se i pixel sono “tanti”, e ormai anche le fotocamere compatte di fascia consumer offrono scatti da 5 o 6 Megapixel come fossero noccioline, quel numero potrebbe essere diverso, per esempio 66,6%, 50%, 33,3% e così via.

    A uno qualsiasi di questi fattori di zoom (tranne il 100%) il monitor deve cercare di essere accomodante, visto che i suoi pixel non possono essere frazionati; pertanto, al 50% un pixel del monitor deve fare le veci di un quadrato formato da 4 pixel sull’immagine, al 25% questo quadrato sarà di 16 pixel (4x4) e così via. Nel caso dell’ingrandimento la dimostrazione è più semplice. Usando lo strumento Zoom (Zoom Tool) e facendo clic sul documento, oppure cambiando il valore nella barra di stato del documento in basso a sinistra, vedrete che i pixel dell’immagine si ingrandiscono fino a diventare dei quadrati di dimensioni piuttosto cospicue.

    In effetti, al 200% i pixel dell’immagine sono grandi il doppio, quindi ci vorranno quattro pixel sul monitor (2x2) per visualizzarne uno dell’immagine, e al fattore di zoom massimo di 6400% il pixel della nostra foto sarà grande sul monitor quanto un’area composta da 64x64 pixel, cioè 4096 pixel. Fino qui dovrebbe essere tutto chiaro: ci si potrebbe anche chiedere come mai ci si stia concentrando così tanto su una questione apparentemente così banale.

    I motivi di questa circostanziata introduzione sono molteplici. Tra di essi vi è anche la sorpresa che provo quando alcune persone mi dicono: “nell’immagine che mi hai mandato si vedono i pixel, la definizione è bassa!”, e io: “scusa, ma a che fattore di ingrandimento la stai guardando?”, l’altro: “al 6400%”. Certa gente dovrebbe parlare latino…

    Tornando comunque a un aspetto che ora ci interessa di più, la situazione diventa articolata nel momento in cui i fattori di zoom sono diversi da queste dimensioni, diciamo, quadrate (cioè 100%, 50%, 25%, 12,5%). Se usate altri fattori di zoom predefiniti, come 66,67% o 33,33%, vedrete che diversi dettagli risultano quasi seghettati, e ciò che prima era di buona qualità ora può sembrare rovinato.

    La situazione peggiora quando i numeri di percentuale sono oltremodo “strani”, come per esempio 39,3% o 77,51 e così via, dove le linee diagonali o curve sembrano persino essere spezzettate.




    Figura 3: la stessa immagine visualizzata a fattori di zoom "rischiosi" comparata alla visualizzazione a pixel reali.

    Gli artefatti di interpolazione video sono evidenti


    In queste situazioni, infatti, la scheda grafica cerca di usare i pixel di cui dispone (quelli sul monitor) per la rappresentazione della nostra immagine, in cui i pixel richiederebbero però un frazionamento. Per esempio, al 33,3% un pixel a video deve rappresentarne circa 3 presenti sull’immagine e, dato che non è possibile dividere ulteriormente il pixel dello schermo, bisogna fare una media dei 3 pixel iniziali con tutte le approssimazioni che ne derivano.

    Occasionalmente capita di non prestare attenzione al fattore di zoom che si sta utilizzando, e di ipotizzare interventi correttivi su aree dove in realtà non ce ne sarebbe bisogno, solo perché i dettagli non sono visualizzati correttamente a causa di questa interpolazione, e il rischio di cominciare dei lavori che poi risultano inutili, o peggio dannosi, è sempre presente. Ricordate sempre: se volete avere una visione di insieme fate zoom finché il display lo richiede, ma se dovete analizzare l’immagine per quella che è l’unico fattore di zoom da usare è il 100%.

    Inoltre, sia che vi vogliate dedicare al fotoritocco sia che vi piaccia giocare con i filtri e gli effetti speciali, tenete sempre a mente che sottovalutare le dimensioni porta a uno spreco di tempo e a risultati di qualità inferiore. I documenti troppo piccoli, come molte immagini reperibili sul Web, non possono essere stampati con soddisfazione, e magari anche a video hanno troppo pochi pixel per definire i dettagli che vi interessano; invece, documenti troppo grandi richiedono tempi lunghi di elaborazione e non si possono visualizzare per intero sul monitor, a meno di non impostare zoom molto piccoli (12,5% o inferiori) o di utilizzare display molto grandi e costosi (e a volte non bastano nemmeno queste premesse).


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    La risoluzione


    Passiamo a questo concetto, tanto semplice quanto frainteso anche da molti professionisti dell’immagine digitale, cui sono legate delle vere e proprie leggende metropolitane che donano a questo parametro un’aura mistica e misteriosa.

    Cominciamo dalla definizione brutale: la risoluzione è il numero di pixel per pollice lineare.

    Tutto qui? Non proprio: questa è la definizione di risoluzione nel senso di PPI, cioè pixel per inch, cui in questa sede possiamo assimilare, per comodità, anche quella di DPI, dove D sta per Dot, ovvero il punto di un retino di stampa.

    È il parametro che si utilizza quando si deve passare da un ambito che si può definire virtuale (il video) a un ambito reale (la stampa), cioè quando si deve dare una dimensione al pixel, che come visto prima nasce come adimensionale.

    Si parla di risoluzione anche quando si imposta un display, per esempio a 1280x1024 oppure a 1920x1200 o ancora a 640x480: questa è la risoluzione video, naturalmente espressa in pixel.

    Per stabilire immediatamente una relazione tra queste varie versioni di risoluzione consideriamo che per i PPI (e per i DPI) è sottinteso un identico valore in base e altezza, ragion per cui 300 DPI indica in forma estesa un 300x300 (base per altezza, cioè l’area di un quadrato).

    Nel caso dei display, notoriamente di forma rettangolare, la risoluzione video (un termine discutibile dal mio punto di vista dato che fornisce due dimensioni e non un rapporto) dà due valori, uno per il lato lungo e uno per il lato corto.

    Supponete di scattare una foto da 3 Megapixel con il vostro telefono cellulare; per semplicità possiamo pensarla come un’immagine da 2.000 pixel di base e 1.500 pixel di altezza (2.000 x 1.500 fa appunto 3.000.0000 di pixel, e Mega è il prefisso per milione).

    Se disponete di un display LCD da 1920x1200 pixel non potete comunque visualizzare l’immagine al 100% delle sue dimensioni perché il lato maggiore è di 80 pixel più corto del necessario e il lato minore è più corto di ben 300 pixel.




    Figura 4: se l’immagine ha una dimensione in pixel superiore a quella del monitor inevitabilmente non potrà essere visualizzata per intero al 100% di zoom


    A queste condizioni, per poter vedere tutto il contenuto dell’immagine le possibilità sono tre:


    • Prendete lo strumento Mano (Hand Tool) e fate un panning, cioè muovete l’immagine sullo schermo esclusivamente per la visualizzazione (ossia, non la spostate all’interno del documento: state proprio spostando la visualizzazione del documento sull’area di lavoro);

    • Rimpicciolite il fattore di visualizzazione, in tutti i modi in cui Photoshop lo consente: dallo strumento Zoom alle svariate scorciatoie da tastiera, fino alle diverse caselle parametriche presenti nell’area di lavoro dove poter inserire i valori dell’ingrandimento voluto;

    • Riducete fisicamente l’immagine interpolandola, passando cioè dalla finestra di dialogo accessibile dal menu Immagine (Image) e selezionando l'opzione Dimensione immagine... (Image Size...).



    Figura 5: con lo strumento Mano (Hand Tool) si può spostare la visualizzazione del documento all’interno del dispositivo di visualizzazione


    E per la stampa?


    Finalmente a questo punto, e solamente a questo punto, entra in gioco la famosa risoluzione di cui parlano tutti, ossia dobbiamo decidere quanti pixel vogliamo mettere in un pollice lineare (quindi non si parla di un’area quadrata, ma di pixel da mettere sul lato di un quadrato).

    Se i pixel in un pollice sono pochi, per esempio 50, l’immagine stampata risulterà sgranata o, per dirla in modo più corretto, avrà i dettagli poco definiti con i consueti contorni seghettati.

    Non potrebbe essere altrimenti data la dimensione che si trovano ad avere i pixel, e per verificarlo possiamo fare due semplici conti: dividiamo un pollice (2,54 cm) per il numero dei pixel appena proposto, quindi 50. Il risultato è 0,127 cm, quindi 1,27 mm.

    I pixel in questo esempio sono dei tasselli di oltre un millimetro di lato; è inevitabile che la griglia di tasselli risulti visibile (per inciso, griglia in inglese si dice anche raster, da cui il termine rasterizzare per la conversione in pixel di un qualche dato vettoriale).

    Cambiamo prospettiva e utilizziamo un valore tanto caro agli stampatori e agli spartani: 300. Se stampiamo a una risoluzione di 300 ppi vuol dire che in un pollice faremo stare 300 pixel, da cui si ricava una dimensione di ciascun pixel di 0,08 mm, un valore che restituisce dettagli molto definiti. Tuttavia, se la nostra immagine di partenza è di 3 Megapixel non possiamo aspettarci stampe di grandi dimensioni: i valori di dimensione e risoluzione sono inversamente proporzionali, ovvero all’aumentare dell’una l’altra si riduce, e viceversa.

    Lo possiamo verificare pensando a cosa succede dividendo il lato da 1500 pixel in moduli (pollici) da 50 pixel e da 300 pixel ciascuno: nel primo caso avremo pixel a sufficienza per coprire 30 pollici (poco più di 75 cm) con una definizione di stampa decisamente bassa, mentre nel secondo caso potremo coprire soltanto 5 pollici (12,7 cm) ma con una definizione eccellente (ed eccessiva).
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    L’interpolazione


    Fatte queste considerazioni, è necessario che vi metta in guardia da un pensiero malsano che a volte passa per la mente dei più smaliziati: “se devo stampare più grande sempre a un’alta risoluzione, allora ingrandisco l’immagine con Photoshop che tanto ci riesce”.

    Questa però è fantascienza, per il semplice fatto che Photoshop non ha alcuna possibilità di immaginare i dettagli che non sono già presenti nell’immagine di partenza.

    Ciò che fanno vedere nei film di 007, dove scattano con un telefonino (notoriamente di ultima generazione al momento dell’uscita del film) da distanze anche oltre i 50 metri e acquisiscono immagini nitide con ogni genere di dettaglio, è chiaramente impossibile. Anche gli ingrandimenti delle telecamere a circuito chiuso in tanti film d’azione hanno dell’assurdo, “Jack, fammi uno zoom di quel dettaglio vicino all’orecchio del secondo passante sulla sinistra, quello dopo l’incrocio prima dell’ambulanza… ecco, di più… di più… ecco: quel microchip sul lobo è la prova che cercavamo”.

    Nella realtà non funziona così, per cui tenetevi stretti i pixel nativi perché sono le uniche informazioni di cui potete disporre.

    Qualsiasi variazione di dimensioni applicata a un’immagine opera secondo processi di interpolazione, ovvero vengono aggiunti o tolti pixel. Esistono diversi metodi di interpolazione (o ricampionamento) come il bicubico, il bilineare e il vicino più prossimo, ma nemmeno quelli utilizzati dalla NASA possono inventarsi i dettagli che mancano all’immagine iniziale.

    Aprendo la finestra Dimensione Immagine, selezionando dal menu Immagine (Image) l'opzione Dimensione immagine... (Image Size...), potete scegliere, nella parte in basso, i diversi metodi di ricampionamento da utilizzare per i vostri ingrandimenti (o riduzioni); oltre a quelli accennati poc’anzi troverete il bicubico più morbido e il bicubico più nitido.




    Figura 6: Dalla finestra Dimensione immagine potete scegliere quale interpolazione adottare, bicubico è il più versatile


    Nella maggior parte dei casi l’impostazione di default (bicubico) andrà più che bene. Occasionalmente potreste optare per le sue due varianti, che danno risultati migliori in caso di forti ingrandimenti (bicubico più morbido) e forti riduzioni (bicubico più nitido), mentre i restanti due metodi sono pressoché inutilizzati (a parte rarissime eccezioni che non tratteremo in questa sede).

    Quando deselezionate la casella di spunta Interpolazione Photoshop porrà automaticamente un vincolo alle dimensioni in cm e alla risoluzione, mantenendo fisse le dimensioni in pixel iniziali (che infatti risultano in questo caso non modificabili); questa situazione è quella di cui abbiamo parlato nel paragrafo dedicato alla stampa.


    La leggenda metropolitana sui 300 dpi


    I valori che comunemente vengono comunicati, anche a livello scolastico, circa le risoluzioni da adottare a seconda dell’output, sono indicativamente 300 dpi e 72 dpi.

    In realtà il primo valore è eccessivo rispetto a quanto può servire per una stampa offset di alta qualità, e sebbene sia tendenzialmente meglio avere immagini con dati sovrabbondanti piuttosto che con dati mancanti, l’abitudine migliore è usare la risoluzione giusta.

    Qual è questa risoluzione giusta? Alcuni studi fatti diversi anni fa hanno dimostrato che nella maggior parte dei casi sono sufficienti 212 dpi; usarne 300 significa che in fase di stampa vengono scartati i dati in eccesso.

    Qualcuno di voi potrebbe pensare che sia comunque utile usare i canonici 300, ma la realtà è che risoluzioni più elevate generano file più pesanti (per l’esattezza, da 212 a 300 il peso aumenta di quasi il doppio, provare per credere) e, a prescindere dal peso in KB o MB dei nostri file, i dati in eccesso in fase di stampa fanno perdere dettaglio all’immagine. Pensate a un brano, una favola da raccontare a un bambino: in base all’età (del bambino) potreste voler omettere alcuni dettagli oppure aggiungerne per rendere la narrazione più circostanziata, e questo potete farlo perché siete esseri viventi e pensanti che possono decidere cosa fare dei dati che vogliono comunicare.

    Quando mandate i file in stampa effettuate la stessa operazione: preparate il documento con le impostazioni migliori a seconda del dispositivo su cui vengono stampate, avvantaggiandovi di risoluzioni più elevate per stampe di tipo fotografico oppure usando risoluzioni più basse per stampe da serigrafia.

    Se lasciate al RIP (Raster Image Processor) o al driver della vostra stampante la libertà di decidere quali parole della vostra favola aggiungere o togliere, quante possibilità avrete che il testo finale sia quantomeno coerente come quello che potreste raccontare voi di persona? La risposta è evidente: nessuna. I computer non hanno percezione, macinano calcoli e basta.

    La fortuna di tutti è che gli algoritmi di calcolo per queste cose sono fatti molto bene, pertanto gli errori di approssimazione sono spesso quasi impercettibili. Ma se volete rendervi conto di quello che può succedere prendete un’immagine abbastanza grande, almeno sui 3 Megapixel, e ridimensionatela a 30.000 (200 pixel di base e 150 di altezza): il risultato è un’immagine piccola e più sfocata di quella originale, ed è normale che sia così dato che è 100 volte più piccola di quella di partenza e in pratica su 100 informazioni ne sono state scartate 99. Nessuna favola sarebbe più comprensibile a questo punto; pensate a quanto siamo fortunati con le immagini!


    La leggenda metropolitana sui 72 dpi


    Quando si parla di 72 dpi ci si riferisce alla risoluzione che deve avere un’immagine per andare a video, e per estensione tutti sono convinti che un’immagine sullo schermo, e quindi lo schermo stesso, sia e debba essere a 72 dpi (o ppi, che qui è meglio).

    Una variante di questa leggenda è che i monitor per Mac hanno risoluzione 72 ma quelli per PC arrivano a 96.

    In realtà, quando un’immagine viene visualizzata sullo schermo essa occupa esattamente lo spazio dato dalle sue dimensioni in pixel; la risoluzione non ha alcuna parte nella sua rappresentazione. Prima abbiamo visto come ripartire i pixel in moduli da un pollice più o meno densi (con 50 o 300 pixel ciascuno), ma l’immagine di partenza era da 3 Megapixel, cioè 2.000 x 1.500, e le nostre riflessioni sull’ingombro a monitor venivano molto prima della casistica per andare in stampa.

    Le macchine fotografiche digitali non fanno immagini di 10 cm x 15 cm a 300 dpi, ma da 3, 4, 5, 6, 10 Mpixel e oltre. Nessuno parla mai né di cm né di risoluzione, questo perché sarà poi chi elabora le foto a decidere quanto grandi stamparle e con quale fattore di dettaglio in base ai pixel di cui dispone.

    Tutt’al più possiamo essere d’accordo sul fatto che anche dalle fotocamere le immagini escono con una risoluzione nominale di 72 dpi, ma questo valore è inserito di default soltanto perché tra i parametri base di un’immagine c’è anche quello, e bisogna in qualche modo riempirlo (esattamente come si fa per tutte le immagini che devono uscire a video è solo una convenzione, non cambia niente).

    Dall’altro lato anche i display non hanno risoluzione 72 (o 96), anzi, posso affermare con assoluta certezza che nessun monitor o display LCD attualmente in commercio abbia tale risoluzione.

    Nella definizione stessa di risoluzione troviamo “numero di pixel per pollice lineare”, quindi asserire che a monitor ne abbiamo 72 vuol dire che qualsiasi dimensione del video non cambia questo valore, e in un pollice troveremo sempre 72 pixel.

    Le cose però non stanno così, dato che possiamo trovare LCD panoramici da 17” (di diagonale) su notebook di fascia alta che arrivano a 1920x1200 e display da 20” da abbinare a un computer desktop che arrivano a risoluzioni di 1680x1050, e si capisce subito che qualcosa non torna.

    Facendo le opportune riflessioni notiamo infatti che tra le specifiche tecniche di ogni monitor, televisore o display in genere, c’è una misura chiamata dot pitch che indica le dimensioni del pixel, e queste dimensioni sono reali e fisse per ogni monitor.

    Sono i pixel delle immagini a non avere dimensioni precise; le acquisiscono quando vincoliamo le immagini a una data risoluzione.

    Infine, anche a parità di schermo, sappiamo tutti che in ogni Computer possiamo impostare risoluzioni video diverse (anche se nel caso degli LCD vi consiglio caldamente di mantenere quella nativa per sfruttare tutto il livello di definizione offerto), pertanto capite da soli che cambiando da 1024x768 a 1600x1200 non è possibile che il numero dei pixel in un pollice resti lo stesso.




    Figura 7: se la risoluzione di un’immagine a video fosse sempre 72 ppi, allora perché la stessa immagine su due dispositivi diversi non ha le stesse dimensioni?


    Senza addentrarci in una dimostrazione geometrica, che si ridurrebbe alla fine a una banale applicazione del teorema di Pitagora, guardiamo alle origini delle errate convinzioni che ci siamo impegnati a confutare in queste pagine.

    I primi monitor (di casa Apple) su cui si operava per il desktop publishing erano stati realizzati in modo da poter visualizzare un foglio A4 a dimensioni reali a una risoluzione di 72 dpi, e 72 è un valore derivato direttamente dalle unità di misura tipografiche utilizzate ancora oggi: il punto tipografico convenzionale è esattamente 1/72 di pollice (circa 0,35 mm); in questo modo si poteva avere una corrispondenza univoca tra il pixel e il punto con evidenti vantaggi visuali e progettuali.

    Solo in quel caso la risoluzione video era esattamente 72 ppi, ma nel momento in cui Apple lanciò i primi monitor Multisync, in cui si potevano variare le risoluzioni video secondo i vari standard (VGA, SVGA, XGA ecc.) questo valore esatto venne meno, ma restò nelle menti di molti. Sui display ad alta definizione attualmente in commercio siamo nell’ordine dei 130 ppi reali, e c’è da aspettarsi che il futuro riservi pixel ancora più piccoli, a tutto vantaggio dei dettagli.

    Come impostazione predefinita Photoshop mostra il peso del file aperto nella parte in basso a sinistra del documento. Potete cambiare il tipo di informazioni visualizzate facendo clic sulla freccia nera a sinistra della casella Informazioni e scegliendo dal menu Mostra (Show) l'opzione Dimensioni documento (Document Dimension), oppure scegliendo una delle altre voci per avere informazioni di altro genere.




    Figura 8: nella barra di stato si possono scegliere alcune informazioni utili, e c’è molto di più di quel che si può vedere

    a una prima occhiata


    La profondità colore


    Quando aumenta il numero dei pixel è plausibile che aumenti anche il peso del file, tuttavia il numero dei pixel non è l’unico fattore che concorre a determinare il peso di un’immagine.

    Il secondo importante fattore è la profondità colore, che qualitativamente definisce il numero di colori che può acquisire ciascun pixel; quantitativamente è espressa in bit e di conseguenza più bit = più Byte.

    Il computer ragiona per impulsi elettrici: 0 = non passa corrente, 1 = passa corrente; questa coppia di valori su cui si basa tutta la logica digitale è definita bit (acronimo di binary digit, cioè cifra binaria).

    Il bit permette di per sé di memorizzare solo 2 informazioni: 0 o 1. Per questo i bit sono usati in moduli da 8, chiamati byte. Tutte le possibili combinazioni di 0 e 1 offerte da 8 bit sono calcolabili elevando all’ottava la base binaria; 28 dà 256, un valore ricorrente nell’ambito informatico.

    Cosa c’entra questo con Photoshop? Tantissimo: le immagini JPEG che si scaricano usualmente da Internet hanno 24 bit di profondità colore, le GIF possono al massimo avere una profondità 8 bit, i dati RAW delle fotocamere SLR digitali sono acquisiti a 12/14 bit e restituite a 16 bit per canale, che equivale a dire 48 bit complessivi.

    Più colori può acquisire un pixel e più possibilità ci sono di rappresentare fedelmente le immagini; viceversa, meno colori ho a disposizione e più ho difficoltà a ottenere le sfumature che mi servono (è un po’ come i colori a matita: colorare con poche matite è molto più difficile che non disporre di una bella scatola da 100 pezzi).




    Figura 9: rappresentazione schematizzata dell’ampiezza tonale in funzione della profondità in bit, l’8 bit è peggiorato volutamente per dare l’idea della miglior morbidezza offerta dal 16 bit, altrimenti non rappresentabile su carta

     
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