[Traduzione] Aderbale chiede aiuto a Roma

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  1. |Bill
     
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    Patres conscripti, Iugurtha, homo omnium quos terra sustinet sceleratissimus, contempto imperio vestro, Massinissae me nepotem et iam ab stirpe socium atque amicum populi Romani, regno fortunisque omnibus expulit.
    Fine: Per vos, patres conscripti, per liberos atque parentes vestros, per maiestatem populi Romani, subvenite mihi misero, ite obviam iniuriae, nolite pati regnum Numidiae, quod vestrum est, per scelus et sanguinem nostrae tabescere.

    Padri coscritti, Micipsa, mio padre, m'ingiunse morendo di ritenermi soltanto l'amministratore del regno di Numidia, perché, per il resto, il dominio su di esso di diritto e di fatto spettava a voi; e mi raccomandò di rivolgere il più possibile ogni mio sforzo, in pace e in guerra, all'utilità del popolo romano e di considerarvi come consanguinei e parenti. A queste condizioni, nella vostra alleanza io avrei ritrovato esercito, ricchezza, difesa del regno. Mentre io applicavo i consigli di mio padre, Giugurta, l'uomo più malvagio che sia mai nato, disprezzando la vostra autorità, privò del trono e d'ogni bene me, nipote di Massinissa, sin dalla nascita alleato e amico del popolo romano. Ora io, padri coscritti, poiché ero destinato a precipitare in tanta miseria, avrei desiderato poter chiedere il vostro aiuto più per i miei servigi che per quelli dei miei antenati; avrei voluto, anzitutto, che mi fossero dovuti da parte del popolo romano, senza averne bisogno; in secondo luogo, se proprio avessi dovuto ricorrervi, che fossero come un debito da riscuotere. Ma poiché l'onestà è di per sé malsicura e il comportamento di Giugurta non dipendeva da me, sono ricorso a voi, padri coscritti, costretto, per mia somma sventura, a esservi più di peso che di giovamento. Gli altri re o furono da voi accolti come amici, dopo essere stati sconfitti, o chiesero di diventarlo nel momento del pericolo; al contrario la nostra famiglia si alleò col popolo romano nel corso della guerra contro Cartagine, quando si poteva contare sulla sua lealtà più che sulla sua potenza. Non vogliate permettere, padri coscritti, che io, progenie di quei re, nipote di Massinissa, implori invano il vostro aiuto. Se a ottenerlo non avessi altro titolo che la mia misera sorte per cui, fino a ieri re potente per stirpe, fama e ricchezze, sono oggi avvilito dalle sventure, povero e bisognoso del soccorso altrui, sarebbe pur sempre degno della maestà del popolo romano impedire un sopruso e non consentire che per mezzo di un delitto si possa accrescere un regno. Ma ora io sono cacciato da quella terra che i miei antenati ebbero dal popolo romano, da cui mio padre e mio nonno, insieme con voi, espulsero Siface e i Cartaginesi; quanto mi vien tolto era vostro, padri coscritti; voi, nella offesa recata a me, siete gli offesi. Oh me infelice! Ecco dunque, Micipsa, padre mio, il frutto della tua generosità! Il più accanito sterminatore della tua stirpe è proprio colui che tu avevi reso uguale ai tuoi figli e compartecipe del regno. Non avrà mai pace la nostra famiglia? Sarà sempre travagliata da uccisioni, guerre, esili? Finché Cartagine fu potente, era naturale che sopportassimo ogni tipo di prepotenza: con i nemici accanto e voi, gli amici, lontani, l'unico scampo era nelle armi. Ma liberata l'Africa da quel flagello, noi vivevamo sereni e tranquilli, non avendo alcun nemico, se non quello che voi avreste potuto eventualmente imporci. Quand'ecco all'improvviso Giugurta, gonfio di intollerabile audacia, di malvagità e tracotanza, ucciso mio fratello, che era al tempo stesso suo congiunto, dapprima, in compenso del delitto commesso s'impadronì del suo regno; quindi, non potendo prendermi con gli stessi inganni, poiché non mi aspettavo che violenza e guerra, come vedete, mi rese, sebbene sotto la vostra sovranità, esule dalla casa paterna, povero e afflitto dalle sventure, così da essere più al sicuro in qualsiasi luogo che nel mio regno. Io ritenevo, come avevo inteso più volte dire da mio padre, che chiunque coltivasse fedelmente la vostra amicizia, padri coscritti, si assumesse un impegno non facile, ma fosse, fra tutti, il più sicuro. La nostra famiglia ha sempre fatto tutto quello che le era possibile per aiutarvi in tutte le guerre: che noi oggi viviamo sicuri in tempo di pace, dipende da voi, padri coscritti. Mio padre lasciò noi due fratelli e il terzo, Giugurta, pensò che sarebbe rimasto legato a noi dai suoi benefici. Dei due uno è stato ucciso: io sono sfuggito a stento alle empie mani dell'altro. Che cosa farò? Dove, infelice, potrò mai rivolgermi? I sostegni della famiglia sono venuti tutti a mancare. Mio padre ha dovuto inevitabilmente cedere alla legge di natura; a mio fratello chi meno avrebbe dovuto, cioè un parente, ha tolto la vita in modo spietato; i parenti, gli amici e gli altri miei congiunti sono caduti vittime chi di una sciagura chi di un'altra: presi da Giugurta, alcuni furono crocifissi, altri esposti alle fiere, i pochi lasciati in vita, rinchiusi in oscure prigioni, trascinano, nella tristezza e nel pianto, una vita peggiore d'ogni morte. Se mi fosse rimasto tutto quello che ho perduto o che da amico mi è diventato nemico, io nondimeno, a ogni improvvisa mia disgrazia, invocherei voi, padri coscritti, ai quali, per la grandezza dell'impero, spetta la difesa del diritto e la punizione delle offese. Ora però, cacciato dalla casa paterna, solo, spogliato di ogni dignità, dove andrò? A chi mi rivolgerò? Ai popoli o ai re, che sono tutti ostili alla nostra stirpe, a causa della nostra amicizia con voi? O posso io andare in qualche luogo, ove non ritrovi a ogni passo le tracce delle guerre combattute dai miei antenati? O potranno avere pietà di me coloro che un tempo furono vostri nemici? Infine, padri coscritti, Massinissa ci inculcò il principio di non onorare altri che il popolo romano, di non stringere nuove alleanze o trattati. Nella vostra amicizia, diceva, avremmo trovato l'aiuto più grande: se la fortuna fosse mutata per questo impero, avremmo dovuto perire con esso. Per il vostro valore e per volere degli dèi siete grandi e potenti, tutto vi favorisce e vi obbedisce: tanto più facile vi è, quindi, vendicare le offese inflitte ai vostri alleati. Questo soltanto io temo: che l'amicizia non bene sperimentata di alcuni privati per Giugurta abbia a trarre qualcuno in errore. Sento che essi si adoperano con grandissimo impegno, circuiscono e sollecitano ciascuno di voi, per indurvi a non prendere provvedimenti nei confronti di un assente, senza aver istruito un'inchiesta. Insinuano che le mie accuse sono false e il mio esilio simulato, perché nulla m'impediva di rimanere nel regno. Potessi io vedere simulare altrettanto quell'uomo che con i suoi misfatti mi ha fatto precipitare in queste sventure! E potesse una buona volta destarsi in voi o negli dèi immortali la sollecitudine per le vicende umane! Certamente costui, che ora va fiero e trionfante dei propri delitti, travagliato da mille tormenti, sconterebbe una pena tremenda per l'empietà verso nostro padre, per l'assassinio di mio fratello e per queste mie disgrazie. Ormai, fratello carissimo all'animo mio, benché la vita ti sia stata strappata così immaturamente e da chi meno doveva, penso, tuttavia, che la tua morte sia motivo di consolazione più che di dolore: con la vita hai lasciato non già il regno, ma la fuga, l'esilio, la miseria e quanti altri affanni mi opprimono. Ma io, infelice, precipitato dal trono paterno in un abisso di sciagure, sono fatto esempio vivente delle vicissitudini umane, incerto su ciò che debbo fare: se vendicare io stesso, bisognoso d'aiuto, l'oltraggio recato a te, o pensare al regno, quando la mia vita e la mia morte sono in mano ad altri. Oh, se almeno la morte fosse una fine onorevole per le mie tragiche vicende e non apparissi invece giustamente spregevole, se vinto dalle sventure cedessi all'offesa! Ormai vivere mi è insopportabile e non mi è dato morire senza vergogna. Per voi, padri coscritti, per i vostri figli e congiunti, per la maestà del popolo romano, aiutatemi nella sventura, opponetevi alla prepotenza, non permettete che il regno di Numidia, che vi appartiene, si dissolva per mezzo di delitti e con lo sterminio della nostra famiglia
     
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